Focus su rinuncia all’eredità

testamento

Che cosa è

E’ un atto con il quale il chiamato (l’erede) dichiara di non volere acquistare l’eredità, ad esempio perché i debiti del defunto sono superiori ai crediti; in questo modo egli fa cessare gli effetti verificatisi nei suoi confronti

a seguito dell’apertura della successione e rimane, pertanto, completamente estraneo alla stessa, con la conseguenza, tra l’altro,  che nessun creditore potrà rivolgersi a lui per il pagamento dei debiti ereditari.

 

Come si rinuncia all’eredità

La rinuncia all’eredità va fatta con una dichiarazione:

ricevuta da un Notaio oppure
ricevuta dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione (Cancelleria della Volontaria Giurisdizione).
La dichiarazione deve essere inserita nel Registro delle successioni conservato nello stesso Tribunale.

La dichiarazione di rinuncia:

– non deve prevedere alcuna condizione (ad esempio, non si può dichiarare “rinuncio all’eredità a condizione che Tizio venda a Caio i suoi gioielli”)
– non deve prevedere alcun termine (ad esempio, non si può dichiarare “rinuncio all’eredità fino al 31.12.2013”)
– non deve prevedere alcuna limitazione (ad esempio, non si può dichiarare “rinuncio all’eredità limitatamente all’autovettura del defunto, ma accetto la sua casa”).

In caso contrario, la dichiarazione è nulla (ossia non produce nessun effetto).

Se la rinuncia viene fatta dietro corrispettivo o a favore di solo alcuni degli altri soggetti chiamati all’eredità, ciò comporta l’effetto contrario, ossia l’accettazione dell’eredità. Facciamo un paio di esempi.

Aldo, Bruno e Carlo sono tutti chiamati all’eredità di Dino. Si immagini il caso in cui Aldo dichiari di rinunciare all’eredità previo pagamento di 100 da parte di Bruno e di Carlo. La legge ricollega a questo l’effetto contrario, ossia Aldo accetta l’eredità.
Si immagini ora il caso in cui Aldo dichiari di rinunciare gratuitamente all’eredità di Dino, ma solo a favore di Bruno e non di Carlo. Anche in questo caso, si ottiene l’effetto contrario a quello voluto, ossia Aldo accetta l’eredità.

Entro quando va fatta la rinuncia

Secondo l’art. 480 cod. civ., il diritto di accettare  – e quindi di rinunciare – l’eredità si prescrive(cioè può essere esercitato) in dieci anni dal giorno della morte del defunto. In caso di accertamento giudiziale dello stato di figlio, tuttavia, il termine decennale inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (art. 480, 2° comma, cod. civ.).
Il termine di 10 anni può tuttavia essere abbreviato: chiunque vi ha interesse (ad esempio, un creditore personale del chiamato) può chiedere al Tribunale del luogo ove si aperta la successione che sia fissato un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità (azione c.d. “interrogatoria”). Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare/rinunciare l’eredità (art. 481 cod. civ.).

Effetto retroattivo, revocabilità della rinuncia e decadenza

Il chiamato all’eredità che fa la dichiarazione di rinuncia viene considerato come se non  vi fosse mai stato chiamato. Si parla infatti di effetto retroattivo della rinuncia (art. 521 cod. civ.).
Vi sono tuttavia due eccezioni: chi ha rinunciato all’eredità può

trattenere la donazione ricevuta, oppure
domandare il legato a lui fatto sino al valore massimo della porzione disponibile (i giudici ritengono che il coniuge superstite del defunto, anche se rinuncia all’eredità, può trattenere il diritto di abitazione e di uso, trattandosi di un diritto previsto dall’art. 540 cod. civ.).

La rinuncia è revocabile se l’eredità non è nel frattempo già stata acquistata da qualcun altro dei soggetti chiamati. Sono ovviamente fatte salvi i diritti acquistati da soggetti terzi sopra i beni dell’eredità (art. 525 cod. civ.).
Decade dal diritto di rinunciare (e si considera erede puro e semplice) il chiamato all’eredità che ha sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa (art. 527 cod. civ.).

Devoluzione dell’eredità

Che cosa accade all’eredità se il soggetto chiamato fa la dichiarazione di rinuncia? A chi spettano i beni?

Si distinguono due situazioni:

nelle successioni legittime (vedi le schede sulla successione del coniuge, dei figli, deiparenti): se vi sono altri coeredi legittimi, la parte di colui che rinuncia viene suddivisa equamente fra questi coeredi, salvo il diritto di rappresentazione, che fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente anche nel caso in cui quest’ultimo non vuole accettare l’eredità; se invece non vi sono altri coeredi legittimi, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse;
nelle successioni testamentarie (vedi le schede sul testamento olografo, pubblico, segreto,speciale): se vi sono altri coeredi testamentari, la parte di colui che rinuncia viene suddivisa equamente fra questi coeredi, a meno che lo stesso defunto non abbia disposto una sostituzione; se invece non vi sono altri coeredi testamentari, l’eredità si devolve agli eredi legittimi.
Facciamo cinque esempi.

Anna muore senza testamento, lasciando le figlie Beatrice, Cinzia e Donatella. Se Beatrice rinuncia all’eredità della madre, la sua quota (33,3%) si aggiunge alle quote di Cinzia e Donatella, che otterranno quindi il 50% ciascuna.
Ennio muore senza testamento, lasciando solo il figlio Federico. Quest’ultimo a sua volta ha un figlio, Giacomo. Se Federico rinuncia all’eredità del padre Ennio, l’eredità passa a Giacomo.
Luca muore con testamento, lasciando i propri averi a Massimo e Nicola. Nel proprio testamento Luca ha stabilito che, nel caso in cui Massimo o Nicola rinuncino all’eredità, la quota sia devoluta ad una Fondazione per la Ricerca sulla Malattia “X”. Effettivamente, Massimo rinuncia alla propria quota di eredità, che quindi passa alla Fondazione (e non a Nicola).
Osvaldo muore con testamento, lasciando i suoi averi a Paola e Roberta. Nel proprio testamento Osvaldo non ha stabilito alcunché per il caso in cui Paola o Roberta rinuncino all’eredità. Effettivamente Paola rinuncia all’eredità: la sua quota passa a Roberta.
Sandra muore con testamento, lasciando i suoi averi a Tiziana, senza stabilire alcunché nel caso in cui Tiziana non voglia accettare. Effettivamente Tiziana rinuncia all’eredità. In tal caso, l’eredità viene devoluta agli eredi legittimi di Sandra.

Impugnazione della rinuncia

La rinuncia all’eredità può essere impugnata sia da parte dei creditori (art. 524 cod. civ.), sia da parte dello stesso soggetto che ha rinunciato (art. 526 cod. civ.).

1) Nel primo caso, i creditori del soggetto che ha rinunciato possono farsi autorizzare dal Tribunale ad accettare l’eredità in nome e luogo del loro debitore, per poter soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Questo diritto dei creditori si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data della dichiarazione di rinuncia.

Facciamo un esempio. Ugo ha debiti nei confronti di Vincenzo per 100. Il giorno 01.01.2013 Ugo rinuncia all’eredità di Zeno, pari a 130. Entro il 31.12.2017 Vincenzo può farsi autorizzare dal Tribunale ad accettare la eredità di Zeno al posto di Ugo, ma non per 130: solo per 100, ossia per l’importo del suo credito verso Ugo.

2) Nel secondo caso, lo stesso soggetto che ha rinunciato a un’eredità può impugnare la propria rinuncia quando è l’effetto di violenza (ad es.: perché estorta con minaccia di un male ingiusto) o di dolo (ossia di inganno), a prescindere da chi sia il colpevole. Questa impugnazione può essere fatta entro cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il raggiro.

La mediazione obbligatoria nelle cause successorie dal 20 settembre 2013

A partire dal 20 settembre 2013, prima di avviare una causa relativa ad una successione ereditaria è necessario dar corso a un procedimento di mediazione innanzi a un organismo riconosciuto dal Ministero della Giustizia, con l’assistenza di un avvocato. Se la mediazione non viene esperita e la causa viene avviata ugualmente, entro la prima udienza il Giudice può rilevare la “non procedibilità” della causa giudiziale. La “non procedibilità” può essere fatta valere anche dalla controparte (ossia dal c.d. “convenuto”), sia pure entro un preciso termine di decadenza.

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