Mancanza contabilità: ne risponde l’imprenditore

È l’imprenditore a rispondere di bancarotta documentale anche se la mancata compilazione delle schede contabili e la conseguente mancata consegna al curatore fallimentare è dipesa dall’inerzia del commercialista.

A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione che, con la sentenza numero 3211 del 25 gennaio 2012, ha confermato la responsabilità di un imprenditore che non aveva consegnato le schede contabili al curatore fallimentare perché il commercialista non le aveva mai compilate.

Ciò perché la bancarotta documentale è un reato che si configura per dolo generico.

In proposito la quinta sezione penale ha messo nero su bianco che «la figura di bancarotta fraudolenta documentale è contrassegnata dal dolo specifico. L’integrazione di detto reato, di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, 1° comma, n. 2, L fall., postula il solo dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» connota la condotta e non la volontà dell’agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo specifico».

Ma non basta. Ad avviso del Collegio è del tutto logica l’argomentazione che desume la rappresentazione dell’evento pregiudizievole dalla condotta omissiva, ancorché essa sia derivata dal comportamento di un professionista inerte: «invero, l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda;
egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da costoro svolta nell’ambito dell’impresa;
in caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge, principio valido anche per i delitti punibili soltanto a titolo di dolo».

Ora la condanna inflitta dal- la Corte d’Appello di Bologna è dunque divenuta definitiva. Anche la Procura Generale della Suprema corte nell’udienza tenutasi al Palazzaccio lo scorso 13 dicembre ha chiesto di respingere il ricorso dell’imprenditore.

 

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